ESPLORAZIONE DEL SISTEMA SOLARE
Atterrare ed analizzare i gas dell’atmosfera di Marte: è questo l’obiettivo di ExoMars 2016, la missione dell’ESA a guida scientifica e tecnologica italiana appena partita
Pubblicato il 16.03.2016
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Quella appena iniziata fa parte della più ampia ExoMars, una missione di esplorazione robotica concepita e realizzata con l’obiettivo principale di acquisire e dimostrare la capacità dell’Europa di eseguire un atterraggio controllato sulla superficie marziana, operare sul suolo marziano in mobilità di superficie, accedere al sottosuolo per prelevarne campioni e analizzarli in situ. Nello specifico, la missione indagherà le tracce di vita passata e presente su Marte, la caratterizzazione geochimica del pianeta, la conoscenza dell’ambiente marziano e dei suoi aspetti geofisici e l’identificazione dei possibili rischi per le future missioni umane. ExoMars si svolgerà in due fasi:
– con ExoMars 2016 (inizio a marzo 2016) la sonda Trace Gas Orbiter (TGO) resterà nell’orbita di Marte per indagare la presenza di metano e altri gas presenti nell’atmosfera, possibili indizi di una presenza di vita attiva, mentre l’Entry, Descent and Landing Module Demonstrator Module (EDM), denominato Schiaparelli, contenente la stazione meteo (DREAMS) ed altri strumenti, atterrerà sulla superficie marziana;
– con ExoMars 2018 (inizio a maggio 2018) verrà portato sul Pianeta Rosso ExoMars Rover, un sofisticato rover capace di muoversi e dotato di strumenti per penetrarne ed analizzarne il suolo.
Il primo step importante che la missione dovrà affrontare sarà il check di tutta la strumentazione del TGO e dell’EDM: operazioni previste per la seconda settimana di aprile. Successivamente, tra luglio e agosto, verranno effettuate una serie di manovre per correggere la traiettoria della sonda: il “big burn” (ovvero la massima accensione dei motori in vista dell’arrivo su Marte) è fissato per il 28 luglio. A settembre, poi, si entrerà nel vivo della missione con i test di navigazione, mentre il 9 ottobre inizierà il controllo da parte del team della missione 24 ore su 24 in attesa della separazione di Schiaparelli una settimana dopo.
Il 17 ottobre il TGO inizierà dunque ad allontanarsi in vista del momento previsto per l’atterraggio del lander. Schiaparelli: protetto da uno scudo termico in grado di resistere a temperature fino a 6.000 gradi, l’EDM scenderà ad una velocità stimata di 25.000 km/h per poi essere frenato durante la fase di entrata nell’atmosfera. A partire da dicembre ci saranno alcune importanti manovre riguardanti il TGO che culmineranno il 17 gennaio con il cambio dell’inclinazione dell’orbita.
L’orbiter sarà impegnato fino a novembre del 2017 nelle operazioni di frenata e rallentamento che modificheranno la sua orbita da ellittica a circolare: si fermerà solo l’11 luglio per un mese a causa della posizione del Sole che non favorirà le comunicazioni tra Terra e Marte. A dicembre TGO inizierà la complessa fase di elaborazione dei dati per preparare al meglio la missione ExoMars 2018: l’orbiter continuerà a fornire informazioni per la seconda fase della missione europea su Marte fino al 2022.
L’ESA ha assegnato all’industria italiana la leadership principale di entrambe le missioni; oltre alla responsabilità complessiva di sistema di tutti gli elementi, è sempre italiana la responsabilità diretta dello sviluppo dell’EDM, del trapano (Drill) dell’ExoMars Rover che preleverà campioni di terreno marziano spingendosi fino a 2 m di profondità durante la missione ExoMars 2018 e del Rover Operation Control Center (ROCC), il centro di controllo da cui il Rover verrà operato.
Per quanto riguarda il contributo scientifico dell’Italia, sono 4 gli strumenti selezionati dall’ESA:
– DREAMS (Dust Characterisation, Risk Assessment, and Environment Analyser on the Martian Surface): suite di sensori per la misura dei parametri meteorologici (pressione, temperatura, umidità, velocità e direzione del vento, radiazione solare) e del campo elettrico atmosferico in prossimità della superficie di Marte. Esso avrà la possibilità di studiare le condizioni ambientali sul pianeta nel periodo, particolarmente interessante, in cui si prevede una forte presenza di polveri nell’atmosfera;
– AMELIA (Atmospheric Mars Entry and Landing Investigation and Analysis): strumento per la modellistica dell’atmosfera marziana che utilizzerà i dati raccolti dai sensori durante la discesa del lander Schiaparelli sulla superficie marziana;
– MA_MISS (MArs Multispectral Imager for Subsurface Studies): spettrometro per l’analisi dell’evoluzione geologica e biologica del sottosuolo marziano, inserito all’interno del Drill, che consentirà di analizzare la conformazione della superficie interna della perforazione effettuata dal Drill stesso;
– INRRI (INstrument for landing-Roving laser Retroreflector Investigations): microriflettore laser sviluppato dall’ASI e dall’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (INFN).
Testo redatto su fonte ASI del 15 marzo 2016
Per approfondimenti sulla missione ExoMars: exploration.esa.int/mars
Image credit: ESA–D. Ducros, 2014
MISSIONI SPAZIALI
Wide-Field InfraRed Survey Telescope, una missione NASA per comprendere aspetti fondamentali in tema di materia ed energia oscura, esopianeti e astrofisica nell’infrarosso
Pubblicato il 21.02.2016
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Con uno specchio primario di 2,4 m di diametro (la stessa dimensione dello specchio primario dell’HST), WFIRST sarà dotato di due strumenti:
– il Wide Field Instrument (WFI), progettato per mappare zone del cosmo al vicino infrarosso, avrà un campo visivo 100 volte maggiore rispetto a quello dell’HST, è impiegherà contemporaneamente minor tempo di osservazione. Nel corso della sua missione il WFI misurerà la luce proveniente da un miliardo di galassie, e utilizzerà la tecnica del microlensing gravitazionale per cercare all’incirca 2.600 esopianeti della Via Lattea.
– il Coronagraph Instrument, ideato per cogliere il bagliore di singole stelle e svelare la tenue luce dei pianeti che orbitano loro intorno, permetterà di effettuare indagini dettagliate (mediante caratterizzazione spettroscopica) sulla composizione chimica dell’atmosfera degli esopianeti per individuare segnali di ambienti adatti ad ospitare la vita.
Complessivamente WFIRST combina la capacità di scoprire e caratterizzare pianeti con la sensibilità di lanciare uno sguardo ampio e profondo nelle pieghe dell’Universo. La sensibilità dei suoi strumenti sarà uno degli elementi chiave della missione perché il telescopio sarà impegnato in una ricerca ad ampio raggio sulle orme degli esopianeti, basandosi sul monitoraggio della lucentezza di milioni di stelle che si affollano al centro della nostra galassia. La missione raccoglierà dati su migliaia di nuovi esopianeti simili nella misura e nella distanza dalla loro stella come i pianeti del Sistema Solare, andando a completare il lavoro che la NASA aveva iniziato con il Kepler Space Telescope (KST).
WFIRST sarà utilizzato anche per comprendere come l’energia e la materia oscure hanno influito sull’evoluzione dell’Universo: in particolare la misurazione delle distanze di migliaia di supernove potrà fornire una mappatura dettagliata dell’andamento dell’espansione cosmica nel tempo.
WFIRST opererà nel punto lagrangiano L2 situato sulla retta Sole-Terra a circa 1,5 milioni di km dalla Terra, in direzione opposta al Sole.
Si ricorda che nel “problema ristretto dei tre corpi” (che si presenta quando uno dei corpi è molto meno massivo degli altri due) esistono 5 punti lagrangiani o di Lagrange (indicati con L1, L2, L3, L4 e L5) nei quali la forza risultante dall’attrazione combinata dei due corpi maggiori su quello minore (in questo caso il WFIRST) è esattamente bilanciata dalla risultante delle forze fittizie (centrifuga e di Coriolis) dovute alla rotazione del sistema di riferimento. Se il corpo minore si trova in uno dei punti lagrangiani, allora le mutue attrazioni gravitazionali esercitatesi tra i tre corpi sarebbero tali da mantenere inalterate nel tempo le distanze reciproche tra di essi.
Testo redatto su fonte ASI del 19 febbraio 2016
Per approfondimenti sui telescopi spaziali:
Wide-Field InfraRed Survey Telescope: wfirst.gsfc.nasa.gov
James Webb Space Telescope: www.jwst.nasa.gov
Hubble Space Telescope: hubblesite.org
Kepler Space Telescope: kepler.nasa.gov
Image credit: NASA/Goddard Space Flight Center/Conceptual Image Lab
ESPLORAZIONE DEL SISTEMA SOLARE
Tra un anno partirà BepiColombo, missione ESA che nel 2024 porterà su Mercurio due orbiter, uno dei quali è già nella fase di test sulla compatibilità elettromagnetica
Pubblicato il 31.01.2016
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Risultato di una collaborazione congiunta tra la European Space Agency (ESA) e la Japan Aerospace Exploration Agency (JAXA), BepiColombo è la quinta missione cornerstone selezionata nel 2000 dall’ESA all’interno del programma del Direttorato Scientifico. L’Agenzia Spaziale Italiana (ASI), insieme alla comunità scientifica, contribuisce in maniera rilevante alla missione con la realizzazione di ben 4 esperimenti su 11 che vedono anche il coinvolgimento scientifico dell’Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF).
La missione, della durata nominale di un anno (con possibile estensione di un altro anno), è composta da due orbiter: il Mercury Planetary Orbiter (MPO), realizzato dall’ESA, e il Mercury Magnetospheric Orbiter (MMO), realizzato dalla JAXA. Entrambi partiranno “inscatolati” nel Mercury Transfer Module (MTM) dell’ESA, un veicolo provvisto di una doppia propulsione: una solare-elettrica e una chimica.
Sui 3 segmenti della missione (MPO, MMO e MTM) verranno effettuati, presso l’European Space Research and Technology Centre (ESTEC) a Noordwijk (Olanda), i test di compatibilità elettromagnetica nella Camera di Maxwell. Si tratta di un ambente nel quale la porta e le pareti metalliche schermate formano una gabbia di Faraday capace di bloccare indesiderate radiazioni elettromagnetiche esterne. Allo stesso tempo, le sue pareti interne sono coperte da “anecoiche”, piramidi di schiuma capaci di assorbire suoni o onde elettromagnetiche.
Attualmente sono in corso le verifiche sull’MPO mediante due tipi di test di compatibilità.
– Nel primo test si controlla che l’orbiter sia elettricamente compatibile con il campo elettrico che sarà generato dal lanciatore Ariane 5, che lo porterà in orbita, che non vi siano cioè interferenze con i ricevitori della sonda.
– Nel secondo test si verifica che non vi sia alcun rischio di incompatibilità tra i diversi sottosistemi dell’orbiter stesso quando sarà in orbita intorno a Mercurio. In particolare si vuole controllare che il suo trio di antenne sulla parte superiore sia in grado di comunicare correttamente con la Terra, anche nelle situazioni con i peggiori scenari.
Testo redatto su fonte ESA e ASI del 27 gennaio 2016
Per approfondimenti: sci.esa.int/bepicolombo
Image credit: European Space Agency, 2015
MISSIONI SPAZIALI
Il lanciatore VEGA ha posizionato in orbita transitoria la sonda LISA Pathfinder dell’ESA, il precursore tecnologico dell’osservatorio spaziale di onde gravitazionali eLISA
Pubblicato il 03.12.2015
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La sonda, realizzata dall’ESA con il fondamentale contributo, sia scientifico che tecnologico, dell’Agenzia Spaziale Italiana (ASI), in collaborazione con l’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (IMFN) e l’Università di Trento, ha un compito molto preciso ed ambizioso: aprire la strada alla costruzione di un vero e proprio osservatorio spaziale delle onde gravitazionali che dovrebbe essere pienamente compiuto entro il 2034 con il lancio della missione eLISA (evolved Laser Interferometer Space Antenna).
LISA Pathfinder è il precursore tecnologico dell’osservatorio spaziale di onde gravitazionali pianificato dall’ESA come terza grande missione nel suo programma scientifico Cosmic Vision. In particolare, la sonda intende mettere alla prova il concetto di rivelazione di onde gravitazionali dallo spazio dimostrando che è possibile controllare e misurare con una precisione altissima il movimento di due masse di prova (cubi in lega d’oro e platino di 46 mm di lato posti a 35 cm di distanza) in una caduta libera gravitazionale quasi perfetta, che verrà monitorata da un complesso sistema laser.
Al LISA Technology Package (LTP), l’unico strumento a bordo di LISA Pathfinder, spetterà il difficile compito di misurare lo spostamento relativo tra i due cubi con una precisione sufficiente a registrare, nel tessuto dello spazio, increspature come quelle attese dallo scontro fra corpi celesti di enorme massa. Eventi che, calcolano gli scienziati, dovrebbero indurre nei cubi di LISA Pathfinder spostamenti nell’ordine di nanometri, più o meno la dimensione media di un atomo.
I sensori inerziali, gli strumenti di alta precisione che racchiudono le masse di prova, e che sono il cuore dell’LTP, sono stati realizzati dall’ASI con prime contractor industriale CGS (Compagnia Generale per lo Spazio) su progetto scientifico dei ricercatori dell’Università di Trento e dell’INFN.
Testo redatto su fonte Università di Trento del 3 dicembre 2015
Per approfondimenti su LISA Pathfinder: sci.esa.int/lisa-pathfinder
Per approfondimenti su eLISA: www.elisascience.org
Image credit: ESA-CNES-Arianespace/Optique Vidéo du CSG – P. Baudon, 2015
ESPLORAZIONE DELLA LUNA
Prima di una serie di missioni robotiche ESA/Roscosmos, “Luna 27” (partenza nel 2020) dovrà verificare le condizioni per un eventuale insediamento umano permanente
Pubblicato il 22.10.2015
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Elemento principale di Luna 27 sarà il lander che dovrà posarsi sul suolo lunare per esplorarne la superficie. L’area scelta per l’allunaggio è il bordo del South Pole Aitken (SPA) Basin, che, con un diametro di 2.500 km e una profondità di 12 km, è il più grande e più antico bacino lunare da impatto. Situata sul lato oscuro del nostro satellite (è tra i luoghi più freddi del Sistema solare), questa regione potrebbe contenere acqua ghiacciata sotto forma di cristalli intrappolati nelle rocce lunari, al riparo dal riscaldamento della radiazione solare (oltre a minerali ed altre risorse). Obiettivo della missione sarà verificare se quest’acqua potrà in qualche modo essere sfruttata per le future missione umane, e se da essa sarà possibile ricavare informazioni preziose sull’origine della vita nella parte più interna del Sistema Solare.
Parte importante del contributo europeo per la missione Luna 27 è PILOT (Precise and Intelligent Landing using Onboard Technologies), un avanzatissimo sottosistema che assisterà il lander durante la fase di allunaggio. PILOT sarà costituito da diversi sensori, telecamere guida per l’avvicinamento, un 3D-imaging LIDAR e una Landing Processing Unit con avionica ad alte prestazioni. Il 3D-imaging LIDAR, in particolare, è un sistema di guida laser che, rilevando con elevata precisione la configurazione del terreno nella fase di avvicinamento alla superficie, è in grado di decidere autonomamente se il sito sarà sicuro o meno. Se necessario, il sistema può re-indirizzare l’allunaggio in un luogo diverso.
Un componente fondamentale per il successo di Luna 27 è PROSPECT (Package for Resource Observation, in-Situ analysis and Prospecting for Exploration Commercial exploitation and Transportation), un mini-laboratorio di bordo che consentirà di perforare e analizzare il duro suolo lunare fino ad una profondità di 2 m. Sarà costituito da due elementi principali: il ProSEED (PROSPECT Sample Excavation and Extraction Drill), un sofisticato sistema di perforazione e campionamento, e il ProSPA (PROSPECT Processing and Analysis), un’avanzata strumentazione per l’analisi dei campioni.
Testo redatto su fonti ESA e British Broadcasting Company (BBC) del 16 ottobre 2015
Image credit: European Space Agency (ESA), 2012
ESPLORAZIONE DEL SISTEMA SOLARE
ExoMars, missione ESA progettata per eseguire un atterraggio controllato su Marte, operare in mobilità sulla sua superficie, prelevare e analizzare campioni in situ
Pubblicato il 30.09.2015
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La missione è suddivisa in due fasi. Nella prima, con il lancio in programma entro gennaio 2016, la sonda TGO (Trace Gas Orbiter) resterà nell’orbita di Marte per indagare la presenza di metano e altri gas presenti nell’atmosfera, e di possibili indizi di una presenza di vita attiva, mentre il modulo EDM (Entry, Descent and Landing Demonstrator Module), contenente la stazione meteo DREAMS (Dust characterization, Risk assessment and Environment Analyser on the Martian Surface) ed altri strumenti, atterrerà su Marte.
Nella seconda parte della missione, che partirà nel maggio 2018, l’obbiettivo è portare sul Pianeta Rosso un innovativo rover capace di muoversi e dotato di strumenti in grado di penetrare ed analizzare il suolo.
L’ESA ha assegnato all’industria italiana la leadership principale di entrambe le missioni; oltre alla responsabilità complessiva di sistema di tutti gli elementi, è sempre italiana la responsabilità diretta dello sviluppo del modulo di discesa EDM di ExoMars, denominato anche Schiaparelli, del Drill di 2 m che perforerà il suolo marziano per il prelievo di campioni e del centro di controllo da cui il Rover verrà operato.
Per quanto riguarda il contributo scientifico, gli strumenti proposti e selezionati da ESA sono i seguenti:
– DREAMS (Dust characterization, Risk assessment and Environment Analyser on the Martian Surface) suite di sensori per la misura dei parametri meteorologici (pressione, temperatura, umidità, velocità e direzione del vento, radiazione solare) e del campo elettrico atmosferico in prossimità della superficie di Marte. Esso avrà la possibilità di studiare le condizioni ambientali sul pianeta nel periodo, particolarmente interessante, in cui si prevede una forte presenza di polveri nell’atmosfera.
– AMELIA (Atmospheric Mars Entry and Landing Investigation and Analysis), modellistica dell’atmosfera marziana impiegando i dati raccolti dai sensori durante la discesa del lander Schiaparelli sulla superficie marziana.
– Ma_MISS (Mars Multispectral Imager for Subsurface Studies) spettrometro per l’analisi dell’evoluzione geologica e biologica del sottosuolo marziano, inserito all’interno del Drill, che consentirà di analizzare la conformazione della superficie interna della perforazione effettuata dal Drill stesso.
Testo redatto su fonte Agenzia Spaziale Italiana (ASI)
Per approfondimenti su ExoMars: exploration.esa.int/mars
Image credit: ESA, D. Ducros, 2014
MISSIONI SPAZIALI
LISA Pathfinder, la missione ESA che dovrà verificare le tecnologie di eLISA, il futuro osservatorio spaziale che “ascolterà” l’Universo rilevandone le onde gravitazionali
Pubblicato il 04.09.2015
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Come spiega il Prof. Stefano Vitale, coordinatore scientifico e principal investigator della missione, docente all’Università di Trento e membro del Trento Institute for Fundamental Physics and Applications (TIFPA) dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (INFN), le onde gravitazionali sono il messaggero ideale per osservare l’Universo. Esse attraversano indisturbate qualunque forma di materia o energia, sono emesse da tutti i corpi, visibili o oscuri, ne registrano il moto e portano l’informazione sino a noi dalle profondità più remote dell’Universo. Ci raggiungono da sorgenti che non emettono luce: “ascoltare” l’Universo attraverso le onde gravitazionali promette una profonda rivoluzione in astrofisica, astronomia e cosmologia, al pari di quelle avvenute con l’invenzione del telescopio o dei radiotelescopi.
LISA Pathfinder ha l’obiettivo di verificare la possibilità di mettere delle masse di prova in caduta libera nello spazio interplanetario, con la precisione senza precedenti necessaria all’osservatorio spaziale eLISA. Questo risultato è stato ottenuto attraverso un insieme di tecnologie innovative che comprende, fra le altre, i sensori inerziali, un sistema di metrologia laser e un sistema di controllo inerziale del satellite attraverso un sistema di micropropulsori.
I sensori inerziali, realizzati dal Gruppo di Gravitazione Sperimentale (GGS) del Dipartimento di Fisica dell’Università di Trento, dopo una ricerca durata più di dieci anni, consistono di due masse in lega d’oro e di platino, che resteranno sospese in assenza di gravità all’interno del satellite, collegato con l’osservatorio spaziale, e di un sistema laser che misurerà lo spostamento relativo tra le due masse con la precisione delle dimensioni dell’ordine di un atomo. È necessaria una precisione di questo livello poiché le onde gravitazionali provocano piccolissime accelerazioni relative tra le masse: obiettivo di LISA Pathfinder è dimostrare che i disturbi possono essere ridotti fino a rendere misurabili proprio queste accelerazioni.
I test finali sono stati tutti completati, e per la fine di novembre LISA Pathfinder verrà lanciato dalla base spaziale ESA di Kourou, (Guyana francese) a bordo di un vettore Vega, cui seguirà la fase scientifica della missione non appena il satellite avrà raggiunto la sua posizione operativa.
Testo redatto su fonte Università di Trento del 3 settembre 2015
Per approfondimenti su LISA Pathfinder: sci.esa.int/lisa-pathfinder
Per approfondimenti su eLISA: www.elisascience.org
Image credit: ESA – J. Huesler, 2015
ESPLORAZIONE DEL SISTEMA SOLARE
Dopo oltre 9 anni di viaggio e 4,9 miliardi di km percorsi, la sonda New Horizons della NASA è arrivata su Plutone con un passaggio radente ad appena 12.500 km di distanza
Pubblicato il 15.07.2015
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Quando era partita il 19 gennaio 2006 da Cape Canaveral, a bordo di un vettore Atlas V, la sonda aveva come obiettivo il nono pianeta del Sistema Solare, ma il 24 agosto dello stesso anno l’IAU (International Astronomical Union) decise di adottare una nuova classificazione dei pianeti e di declassare Plutone a pianeta nano. Questo fatto non ha sminuito l’importanza di New Horizons, la missione che ha puntato i suoi “occhi” sull’unico grande corpo celeste del Sistema Solare finora ad allora mai raggiunto da nessun’altra sonda.
Durante il rendez-vous la sonda è stata impegnata con i suoi sette strumenti scientifici per scattare fotografie a Plutone e a Caronte (la sua luna più grande), mapparne la superficie e analizzarne la composizione chimica. Separati da una distanza di 19.636 km, i due corpi celesti costituiscono un sistema binario poiché essi ruotano intorno ad un punto di gravità comune.
Mentre New Horizons era in viaggio sono state scoperte altre quattro lune del pianeta nano (oltre al già citato Caronte): Stige, Idra, Cerbero e Notte.
Testo redatto su fonte ASI del 14 luglio 2015
Per approfondimenti su New Horizons: www.nasa.gov/mission_pages/newhorizons/main
Image credit: Johns Hopkins University Applied Physics Laboratory/Southwest Research Institute
MISSIONI SPAZIALI
Missione Rosetta: dopo 7 mesi di “letargo”, il lander Philae, atterrato sulla cometa lo scorso novembre, si è “risvegliato” ed ha iniziato a inviare sulla Terra pacchetti di dati
Pubblicato il 15.06.2015
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Philae, dopo aver rimbalzato per tre volte sulla superficie della cometa, finì in un di crepaccio, in una posizione che lasciava esposta alla luce solare solo una piccola parte dei pannelli necessari per alimentare le batterie e portare avanti la seconda fase della sua missione. Una volta esaurita l’energia iniziale delle batterie, il 14 novembre scorso il lander si è “addormentato”, cadendo in uno stato di ibernazione, e da allora non si è ancora saputo se il trapano (realizzato in Italia) sia riuscito a perforare la superficie della cometa.
Ora Philae ha inviato a Rosetta, e quindi a Terra, oltre 300 pacchetti di dati che verranno processati e analizzati presso il Centro di controllo missione del German Aerospace Center (Deutsches Zentrum für Luft- und Raumfahrt – DLR). Il lander ha una temperatura di funzionamento di -35 gradi Celsius e ha a disposizione 24 Watt. Da un primo esame è emerso con chiarezza che Philae doveva essersi “risvegliato” da un po’, perché negli 85 secondi ha inviato osservazioni databili ad almeno 1,5 giorni cometari. I pacchetti di dati attesi, conservati nella memoria di massa di Philae, sono ancora più di 8.000 e saranno analizzati dal team internazionale che segue la missione.
Rosetta è una missione dell’European Space Agency (ESA) con contributi dei suoi stati membri e della NASA. Il lander Philae è stato sviluppato da un consorzio internazionale a guida di DLR, MPS, CNES e ASI. La partecipazione italiana alla missione consiste in tre strumenti scientifici a bordo dell’orbiter: VIRTIS (Visual InfraRed and Thermal Imaging Spectrometer) sotto la responsabilità scientifica dell’IAPS (INAF Roma), GIADA (Grain Impact Analyser and Dust Accumulator) sotto la responsabilità scientifica dell’Università Parthenope di Napoli, e la WAC (Wide Angle Camera) di OSIRIS (Optical Spectroscopic and Infrared Remote Imaging System) sotto la responsabilità scientifica dell’Università di Padova. A bordo del lander, è italiano il sistema di acquisizione e distribuzione dei campioni SD2 (Sampler Drill & Distribution), sotto la responsabilità scientifica del Politecnico di Milano, ed il sottosistema dei pannelli solari.
Testo redatto su fonte ESA/ASI del 14 giugno 2015
Per approfondimenti sulla missione Rosetta: www.esa.int/Our_Activities/Space_Science/Rosetta
Image credit: ESA/ATG medialab, 2014
ESPLORAZIONE DEL SISTEMA SOLARE
Sfruttando la “cattura balistica” è stata determinata una nuova orbita che consentirà di progettare le missioni automatiche su Marte in modo più sicuro ed economico
Pubblicato il 24.12.2014
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La tecnica classica per progettare trasferimenti dalla Terra a Marte si basa sulla decomposizione del sistema solare in problemi Kepleriani. Il satellite risente della sola attrazione gravitazionale della Terra quando è all’interno della sua sfera di influenza. Durante il viaggio interplanetario, risentirà solamente dell’influenza del Sole e, infine, quando sarà nei pressi di Marte risentirà della sola attrazione del pianeta rosso. Questa tecnica, nota come “patched-conics” ha permesso (e permette tutt’oggi) di progettare la maggior parte dei trasferimenti interplanetari in modo veloce. Tuttavia, l’approssimazione che ne è alla base fissa il livello energetico delle orbite su valori alti, poiché le regioni dove il modello va in crisi, ossia quelle dove due o più attrazioni gravitazionali diventano confrontabili, devono essere attraversate velocemente. Ciò implica elevati costi in termini di ∆v, ossia di variazione di velocità (o impulso) che bisogna imprimere ad una sonda interplanetaria per modificarne l’orbita.
I ricercatori che operano nel campo della progettazione preliminare di traiettorie interplanetarie sono alla continua ricerca di soluzioni che minimizzino il ∆v. Infatti, ad una riduzione dell’impulso corrisponde una minor massa di propellente necessario ad effettuare il trasferimento. Ciò può essere sfruttato per lanciare una massa più ridotta (con conseguente risparmio in termini economici) o per imbarcare più strumenti a parità di massa lanciata (con conseguente massimizzazione del ritorno scientifico della missione).
Testo redatto su fonte Politecnico di Milano del 23 dicembre 2014
Per approfondimenti:
Earth–Mars Transfers with Ballistic Capture – arXiv.org | 27.10.2014
A New Way to Reach Mars Safely, Anytime and on the Cheap – Scientific American | 22.12.2014
Image credit: NASA/CALTECH/JPL
MISSIONI SPAZIALI
Missione Rosetta: grande soddisfazione dell’Agenzia Spaziale Italiana per i risultati del lander Philae, grazie anche al grande successo della tecnologia italiana
Pubblicato il 16.11.2014
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“Anche nella non prevista posizione in cui Philae è atterrato – ricorda il Presidente dell’Agenzia Spaziale Italiana (ASI), Prof. Roberto Battiston – tutto ha funzionato a regolarmente. Il drill italiano e gli altri strumenti hanno fornito dati unici sulla natura della cometa. È un momento straordinario nel quale questo piccolo oggetto a cavallo di una cometa è riuscito nel suo arduo compito farci sognare e darci tanta scienza”. “Inizia ora la fase di analisi dei dati scientifici, sarà un lavoro difficile ma eccitante, dal quale ci aspettiamo grandi risposte.” ci conferma Enrico Flamini, Coordinatore scientifico dell’ASI e a suo tempo con Raffaele Mugnuolo sempre dell’ASI, uno dei progettisti di Philae.
Nelle due fasi operative Separation Descent and Landing e First Science Sequence, tutti gli strumenti scientifici a bordo del lander hanno acquisito – ricorda Mario Salatti dell’ASI, dal Lander Control Center di Colonia – dati almeno una volta. Per quanto le sequenze operative abbiano dovuto essere modificate sostanzialmente per far fronte alla situazione non nominale del lander sulla cometa, gli obiettivi per cui Philae è stato progettato sono stati raggiunti con successo.
La fase operativa successiva all’esaurimento della batteria principale, definita Long Term Science, può iniziare quando la batteria secondaria sarà nuovamente caricata mediante i pannelli solari a bordo: dato l’assetto di Philae sulla superficie della cometa, ciò avverrà di certo più in là nel tempo di quanto previsto.
“La posizione finale di Philae, raggiunta in maniera così rocambolesca, rappresenta – sottolinea Salatti – un ricovero ideale da un punto di vista termico in attesa che nei prossimi mesi la crescente irradiazione solare, quando Churyumov-Gerasimenko si avvicinerà sempre più al Sole, permetta di tornare ad essere operativi”.
Testo redatto su fonte ASI del 15 novembre 2014
Image credit: ESA/Rosetta/MPS for OSIRIS Team MPS/UPD/LAM/IAA/SSO/INTA/UPM/DASP/IDA, 2014
ESPLORAZIONE DEL SISTEMA SOLARE
BepiColombo, il primo satellite dell’ESA dedicato all’esplorazione di Mercurio, si sta preparando per i test ambientali in vista del lancio previsto per luglio 2016
Pubblicato il 07.07.2014
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BepiColombo è un progetto frutto di una collaborazione tra Europa (ESA – European Space Agency) e Giappone (JAXA – Japan Aerospace Exploration Agency). Si tratta della quinta missione cornerstone selezionata nel 2000 dall’ESA all’interno del programma del Direttorato Scientifico e si pone come obiettivo lo studio dettagliato del pianeta Mercurio e dell’ambiente che lo circonda.
L’ASI (Agenzia Spaziale Italiana), insieme alla comunità scientifica, contribuisce in maniera rilevante con la realizzazione di ben 4 esperimenti su 11. Si tratta di SIMBIO-SYS, un sistema integrato di osservazione e caratterizzazione della superficie del pianeta, dell’accelerometro ad alta sensibilità ISA e dell’esperimento di radioscienza MORE, basato sul trasponditore di bordo in banda Ka (KaT), e dell’esperimento SERENA, per lo studio dell’ambiente particellare mediante due analizzatori di particelle neutre e due spettrometri di ioni.
Thales Alenia Space Italia è parte del Core Team industriale, guidato da Airbus Defence & Space, per la realizzazione del satellite e coordina un gruppo di oltre 35 aziende europee. In particolare è responsabile del progetto e della realizzazione dei sistemi di telecomunicazione, controllo termico, distribuzione potenza elettrica, integrazione e prove del satellite completo, nonché della esecuzione della campagna di lancio. L’azienda, inoltre, sviluppa direttamente il trasponditore in banda X e Ka, il computer di bordo, la memoria di massa e l’antenna ad alto guadagno, una parabola di 1,1 m di diametro che servirà per comunicare con la Terra ed eseguire l’esperimento di Radio Scienza durante la missione. Si tratta di una evoluzione dell’antenna realizzata per la nota missione Cassini-Huygens per lo studio di Saturno.
La peculiarità di BepiColombo, come già detto, è la necessita di operare a temperatura eccezionalmente alta per una sonda spaziale: infatti la distanza Mercurio-Sole è poco meno di 1/3 della distanza Terra-Sole e si stima che la radiazione solare in orbita intorno a Mercurio sia 10 volte più intensa che per un satellite geostazionario. Per arrivare in orbita intorno a Mercurio, la sonda – nella parte esposta al Sole – sopporterà temperature superiori a 300° C, con escursioni locali (limitate nello spazio e nel tempo) sul riflettore dell’antenna fino a 400° C ed oltre, mentre all’interno, grazie a innovativi sistemi di schermatura termica, gli strumenti installati all’interno del satellite potranno operare in un intervallo di temperatura molto più favorevole, da 0° C a 40° C. É stato invece necessario sviluppare materiali e dispositivi ad hoc per tutti gli elementi esposti direttamente al sole, quali le coperte termiche, le antenne, le celle solari e i relativi meccanismi di puntamento.
BepiColombo è composto da tre moduli interconnessi tra loro per il lancio e la fase di avvicinamento al pianeta Mercurio: il modulo di trasferimento (MTM) che fornisce la necessaria spinta, il modulo che orbiterà intorno a Mercurio (MPO – Mercury Planetary Orbiter) con a bordo gli strumenti di osservazione Europei ed infine il modulo di osservazione della magnetosfera di Mercurio (MMO – Mercury Magnetospheric Orbiter) sviluppato dalla agenzia spaziale Giapponese JAXA.
Testo redatto su fonte ASI del 4 luglio 2014
Per approfondimenti: sci.esa.int/bepicolombo
Image credit: European Space Agency (ESA)
ESPLORAZIONE DEL SISTEMA SOLARE
La missione Cassini-Huygens, di cui l’ASI è uno dei partner insieme a NASA ed ESA, compie oggi 10 anni di esplorazione di Saturno, dei suoi anelli e delle sue lune
Pubblicato il 01.07.2014
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Sono trascorsi 10 anni dall’inizio della missione: grazie ad essa sono oggi disponibili centinaia di gigabytes di dati scientifici e più di 3.000 report.
Cassini, con a bordo la sonda Huygens, è giunta nel sistema di Saturno per una missione che prevedeva una durata iniziale di 4 anni. I numerosissimi successi e la sua “eterna giovinezza” hanno determinato l’estensione della missione da parte della NASA nel 2008: nel corso di questi dieci anni, il pianeta ha completato un terzo dei quasi trent’anni di viaggio intorno al Sole e gli scienziati hanno avuto la possibilità di osservare una varietà di cambiamenti stagionali.
L’ASI è uno dei partner della missione Cassini: in base ad un accordo di collaborazione con la NASA, ha sviluppato l’antenna ad alto guadagno con incorporata un’antenna a basso guadagno (che assicurano le telecomunicazioni con la Terra per l’intera durata della missione ed è anche l’antenna del radar), il canale visibile dello spettrometro VIMS, il sottosistema di radioscienza (RSIS) e il Radar che utilizza anch’esso l’antenna ad alto guadagno. L’ASI ha inoltre sviluppato, per la sonda Huygens, lo strumento HASI che ha misurato le proprietà fisiche dell’atmosfera e della superficie di Titano.
Testo redatto su fonte ASI del 30 giugno 2014
Per approfondimenti: saturn.jpl.nasa.gov
Image credit: NASA
MISSIONI SPAZIALI
L’ESA ha ufficialmente dato il via alla missione ATHENA, un sofisticatissimo osservatorio orbitante che indagherà i fenomeni più energetici che avvengono nell’Universo
Pubblicato il 28.06.2014
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“ATHENA è uno dei quattro pilastri del futuro osservativo a multilunghezza d’onda di INAF, con SKA (Square Kilometre Array) nella radioastronomia, E-ELT (European Extremely Large Telescope) nell’ottico e CTA (Cherenkov Telescope Array) nella sorgente gamma” dice Giovanni Bignami, Presidente INAF. “Conquistata la possibilità di una presenza italiana ora dobbiamo concretizzarla. Saremo aiutati in questo dalla grande tradizione italiana nella astronomia X dallo spazio, cominciata da Riccardo Giacconi 50 anni fa e continuata in Italia con le brillanti missioni BeppoSax, EPIC XMM e IBIS INTEGRAL”.
L’Universo è permeato di un plasma caldissimo, che si estende in una ragnatela cosmologica e al cui centro risiedono gli ammassi di galassie. I buchi neri di ogni taglia, i più grandi dei quali risiedono al centro di ogni galassia, sono l’altra componente fondamentale per comprendere come “funziona” l’universo che noi conosciamo. L’energia espulsa dal buco nero è in grado di influenzare la formazione e la vita delle stelle e della galassia che lo ospita. I primi buchi neri si sono formati dall’esplosione delle prime stelle dell’Universo, circa 150 milioni di anni dopo il Big Bang. Queste stelle primordiali sono evolute molto rapidamente, in “solo” un milione di anni dalla nascita hanno esaurito il loro combustibile e sono esplose, formando e poi espellendo nello spazio i primi elementi chimici più pesanti dell’idrogeno e dell’elio – come ad esempio carbonio, ossigeno e ferro, necessari per le generazioni seguenti di stelle – e generando i primi buchi neri dell’Universo, i ‘semi’ dei buchi neri supermassicci che oggi si trovano al centro di ogni galassia. Il modo di scoprire queste stelle primordiali è osservare e studiare la loro esplosione, che è accompagnata da un lampo di raggi gamma.
“Con la selezione di ATHENA si aggiunge un altro elemento al programma scientifico dell’ESA”, ha dichiarato Roberto Battiston, Presidente dell’Agenzia Spaziale Italiana (ASI). “Questa missione, la seconda selezionata della classe di missioni Large, rappresenta la seconda pietra angolare della costruzione europea del programma Cosmic Vision che vede l’ASI e con essa la comunità scientifica italiana, ma anche quella industriale, chiamate a mantenere il livello di eccellenza raggiunto in molti anni di impegno continuo. Un impegno che necessita di spalle più solide di quelle che sono state disponibili negli ultimi anni”.
“L’Europa con ATHENA conquista di fatto il primato negli studi dell’Universo nei raggi X per i prossimi trent’anni. E sarà un’importante facility su cui potrà formarsi e ottenere notevoli risultati scientifici la nuova generazione di ricercatori in questo settore” commenta Luigi Piro dell’INAF-IAPS di Roma, il coordinatore della parte italiana del team che ha proposto la missione ATHENA.
La selezione della missione ATHENA giunge a valle della scelta dell’ESA, lo scorso novembre, del tema scientifico per la sua prossima grande missione spaziale dal titolo “L’Universo caldo ed energetico”, che vede il supporto di oltre 1200 ricercatori in tutta Europa, con il coinvolgimento di numerosi Istituti e Osservatori dell’INAF (IAPS/Roma, IASF di Milano, Bologna, Palermo, Osservatori di Milano, Trieste, Torino, Bologna, Arcetri, Padova, Roma, Napoli, Palermo ) e le Università di Roma (I, II e III), Milano, Trieste, Bologna, Palermo, l’Università e sezione INFN di Genova e l’IFN del CNR.
Testo redatto su fonte ASI del 27 giugno 2014
Per approfondimenti: www.the-athena-x-ray-observatory.eu
Image credit: European Space Agency (ESA)
ESPLORAZIONE DEL SISTEMA SOLARE
Missione CASSINI: realizzato un mosaico multi-immagine del polo nord di Titano grazie al radar planetario SAR, realizzato dall’ASI in collaborazione con la NASA
Pubblicato il 12.12.2013
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Grazie agli ultimi fly-by ravvicinati di Cassini, il team del radar ha recentemente potuto realizzare un mosaico multi-immagine con un dettaglio sorprendente della regione del polo nord di Titano, caratterizzata dalla presenza di molti laghi e mari di idrocarburi, principalmente metano ed etano. Si è anche potuto elaborare una mappa 3D che ci consente di sorvolare l’area del mare di Ligeia come se fossimo lì. Sulla Terra il metano e l’etano sono dei gas, ma su Titano, dove la temperatura media è -170°C, sono liquidi. Titano è un mondo per molti aspetti simile alla Terra: ci sono dune nella zona equatoriale, montagne, anche se non molto alte, vulcani, fiumi, laghi e mari, ma dove qui abbiamo rocce silicatiche lì abbiamo ghiaccio d’acqua, le dune sono formate da una polvere di idrocarburi, i vulcani sono in effetti criovulcani che eruttano colate di ghiaccio d’acqua e metano e le superfici liquide di fiumi, mari e laghi, concentrati quasi solamente nelle zone polari dell’emisfero nord, sono appunto di metano.
“Imparare a conoscere le caratteristiche relative a superfici come laghi e mari ci aiuta a capire come liquidi, solidi e gas di Titano interagiscano tra loro rendendolo in qualche modo simile alla Terra”, ha affermato Steve Wall, in qualità di acting radar team lead al Jet Propulsion Laboratory (JPL) della NASA, Pasadena, in California. “Anche se questi due mondi non sono esattamente la stessa cosa, più lo osserviamo e più emergono processi simili a quelli terrestri”.
Queste nuove immagini mostrano che il più grande mare di Titano – Mare Kraken – è più ampio e complesso di quanto si pensasse. Inoltre, quasi tutti i laghi su Titano rientrano in un’area che è di circa 900 per 1.800 km. Solo il 3 per cento dei liquidi di Titano non rientra in quest’area. “Gli scienziati si sono chiesti perché i laghi di Titano si trovano in quella determinata posizione. Queste immagini ci mostrano che il substrato solido e la geologia devono creare un ambiente particolarmente adatto per i laghi in quest’area”, ha detto Randolph Kirk, un membro del team radar di Cassini presso l’US Geological Survey a Flagstaff, in Arizona. “Pensiamo che possa essere qualcosa come la formazione del lago preistorico chiamato Lago Lahontan nei pressi del lago Tahoe tra Nevada e California, dove la deformazione della crosta ha creato fessure che potrebbero essere state riempite con liquidi”.
L’opportuno utilizzo di tecniche già sviluppate nell’ambito dell’elaborazione dei dati forniti dai radar-sounder marziani SHARAD e MARSIS, la cui mappatura del sottosuolo di Marte continua ancora oggi con successo, ha consentito per la prima volta di eseguire questa storica misura. Lo studio guidato da ricercatori italiani, a cui hanno contribuito anche ricercatori americani e francesi e i cui risultati sono stati presentati oggi al congresso dell’ American Geophysical Union a San Francisco, dimostra in modo definitivo la natura liquida di almeno uno dei mari di Titano, il Mare Ligeia, ci dice che è composto di metano quasi puro e fornisce il primo profilo batimetrico (la profondità) di un mare extraterrestre che raggiunge 160 metri circa di profondità.
“Il Mare Ligeia si è rivelato essere proprio della giusta profondità per il radar Cassini per rilevare un segnale di ritorno dal fondo del mare, che non si pensava fosse possibile ottenere”, ha dichiarato Marco Mastrogiuseppe, membro del team radar Cassini e associato presso l’Università La Sapienza di Roma, Italia. “La misurazione che abbiamo fatto mostra che Ligeia sia più profondo in almeno un punto, rispetto alla profondità media del lago Michigan”.
“Questo è un grande successo che si è potuto conseguire grazie alle altissime competenze scientifiche sviluppate in Italia nel campo dei radar planetari realizzati dall’Agenzia Spaziale Italiana (ASI) in collaborazione con la NASA. Oggi abbiamo un bellissimo esempio di come gli algoritmi ed i metodi di processo dei dati sviluppati nei nostri programmi siano potenti e flessibili e come, grazie alla splendida intuizione di un giovane ricercatore, ben supportato da un grande team, possano portare a risultati non aspettati, ma anche come la missione Cassini non smetta mai di stupirci” ci dice Enrico Flamini dell’ASI che partecipa al team del radar ed è uno degli autori del lavoro.
Ora Cassini si sta avvicinando all’inizio dell’estate nord del sistema di Saturno e tutti gli scienziati si aspettano novità per quello che potenzialmente sarà il periodo di maggiori cambiamenti climatici nell’emisfero nord di Titano.
Cassini-Huygens è una missione realizzata in collaborazione tra NASA, European Space Agency (ESA) e ASI: è gestita dal JPL, una divisione del California Institute of Technology, Pasadena, per il Science Mission Directorate della NASA, Washington. L’orbiter Cassini è stato progettato, sviluppato e assemblato dal JPL. Lo strumento radar è stato costruito dall’Agenzia Spaziale Italiana e dal JPL, in collaborazione con i membri del team degli Stati Uniti e di diversi Paesi europei.
Testo redatto su fonte ASI dell’11 dicembre 2013
Image credit: ASI